Fig. 27 I telarini con il tabacco messo ad essiccare e sullo sfondo un pagliaioFig. 27 I telarini con il tabacco messo ad essiccare e sullo sfondo un pagliaio

Il Tabacchificio di Nepi


            “A la scuadra dei forni mentre stavano all’avorare un rumore sentivano fare, e poi quando se ne sono accorte serano bruciate pure le porte. E marisa la maestra che strillava in fretta in fretta attenti al fuoco li vicino che mi attacca il magazzino. poi ciè gina spaventata che strillava come una dannata e gridava e rigridava e le donne non trovava. Poi ci stava morosetti non trovava i zoccoletti e la picchia che strillava perche la porta non trovava. E maria ottaviani che raspava con le mani e venitemi a salvare non lasciatemi bruciare. Poi ciè gino in canottiera che salta come una pantera e le donne le chiappava tutte in salvo le portava. Ciè il meccanico roberto che stringeva forte il petto ò dio mio siamo rovinati quando arriva il dottor donati. Ciè giaggio il fochista della apura a perso la vista e rimasto imbambolato dio mio come e stato. E arrivato brachelente nun potevi far piu niente perche quando lui è arrivato il magazzino era gia bruciato. Ora tutti si sono calmati che e arrivato il dottor donati è con lui la sicurazione e lo rimettono in costruzione”.
(Documento in originale custodito da Maria Ottaviani, ex tabacchina, e scritto da una sua compagna in occasione della vicissitudine da lei, in qualche modo, “subita”).

Fig. 20 Tesserino di lavoro di Ottaviani Maria, tabacchina a Nepi.

Fig. 20
Tesserino di lavoro di Ottaviani Maria, tabacchina a Nepi.

Nel periodo precedente la seconda guerra mondiale, per quanto riguarda Nepi si è visto il sorgere, lo sviluppo e poi la decadenza fino alla completa chiusura dei Tabacchifici collegati ai Monopoli di Stato. Nepi è un comune di circa 9000 abitanti, in provincia di Viterbo, distante circa 40 km dal capoluogo ed è particolarmente famosa per la sua acqua e per il motto della stessa: “Nepe civitas, nobilis atque potens, in cuius fertilissimis agris balnea scaturiunt salutifera” (“La città di Nepi, nobile e potente, nei cui campi fertilissimi sgorgano acque salutifere”). L’acqua sgorga leggermente frizzante direttamente dalla sorgente, e la stessa sorgente è rinomata per le sue acque sulfuree. Il suo territorio, prevalentemente pianeggiante è situato su un piccolo altopiano di origine tufacea. Questo tipo di terreno ha sempre favorito l’agricoltura. L’insediamento del Tabacchificio Donati è avvenuto in un contesto particolare: il tabacco soprattutto del tipo Perustitza, era coltivato in loco, raccolto e portato all’opificio dove si procedeva alla sua lavorazione. La coltivazione avveniva a livello familiare; intere famiglie locali e di piccola emigrazione dal Sud Italia, specialmente dalla provincia di Lecce, coltivavano estese piantagioni di tabacco, dopo aver ricevuto le sementi dal Monopolio. Veniva fatto il semenzaio, le piantine poi venivano trapiantate nel terreno, dopo la loro crescita veniva effettuata la sarchiatura, nei primi anni a mano e poi con una macchina specifica. A maturazione avvenuta la pianta veniva raccolta, messa a seccare nei “telarini e poi portata al tabacchificio dove avveniva la seconda fase della filiera; la selezione delle varie specie di tabacco e delle dimensioni delle loro foglie . Nel tabacchificio Donati di Nepi, ma anche in quello di Zagarolo e in altri sparsi nel Lazio, in analogia con quanto succedeva nello stesso periodo a Terni per uno jutificio, lavoravano solo donne e per gli stessi motivi. Anche il tabacchificio ha rappresentato per una gran parte delle tabacchine la realizzazione di un’emancipazione dalla famiglia e l’inserimento nel mondo lavorativo remunerato. Come si può capire dall’intervista le condizioni lavorative erano discrete, per il tempo preso in esame, e ben presto le tabacchine hanno in parte ricevuto dei benefici dal mondo sindacale. Esistevano ad esempio i libretti di lavoro e i tesserini delle “marchette”.

Tre foto tabacchificio Donati scattate da chi scrive.

Tre foto tabacchificio Donati scattate da chi scrive.

Era una realtà contadina, non specializzata, spesso non alfabetizzata, che si apriva al mondo del lavoro; ma le mani che svelte e precise lavoravano il tabacco contribuivano a migliorare le condizioni finanziarie delle famiglie e nel periodo del boom economico, che è seguito alla fine della seconda guerra mondiale, anche a realizzare il sogno delle “quattro mura tutte tue”. Nello stesso modo in cui esisteva una filiera della lavorazione della juta allo stabilimento Centurini, così esisteva una filiera del tabacco al tabacchificio Donati:
1. Monopolio di Stato,
2. concessionario speciale,
3. licenza di coltivazione, che veniva data ai coltivatori, Fase agricola,
4. magazzino prima lavorazione del concessionario, dove lavoravano le tabacchine, fase industriale,
5. manifattura tabacchi del Monopolio per la produzione di sigari e sigarette.
Svariate erano le qualità di tabacco, anche di produzione nazionale per evitare l’importazione e l’ulteriore spesa. C’erano i tabacchi levantini: Xanti, Perustitza ed Erzegovina, e poi anche quelli americani: Burley, Kentucty e il Bright. La semina avveniva nei mesi di febbraio e marzo, ad aprile le piantine venivano trapiantate, ad agosto c’era la raccolta e l’essiccatura, veniva poi portato al Magazzino.

Il capostipite dell’azienda tabacchi Donati fu Lamberto, di origine marchigiana. Era un giovane falegname di Mercatello sul Metauro in provincia di Macerata e aveva sposato la figlia del padrone. Ampliata l’azienda, aprì gli impianti a Zagarolo; il figlio Luigi si occupò del tabacchificio di Nepi fino agli anni ‘70. Verso il 1960 Giancane Francesco, titolare di un tabacchificio a Viterbo, ne aprì uno anche a Nepi poiché la produzione era aumentata e questo tabacchificio rimase in funzione fino alla fine degli anni ’80.

 Due foto tabacchificio Giancane scattate da chi scrive

Due foto tabacchificio Giancane scattate da chi scrive

Intervista alle tabacchine
Quanto di seguito riportato è la trascrizione di un’intervista collettiva (a carattere non direttivo) realizzata con la collaborazione di tre Tabacchine, le quali hanno lavorato all’interno dello stabilimento di Nepi tra il 1950 e il 1960. Maria, Lea e Sira hanno aderito con partecipazione alla nostra richiesta di notizie circa il lavoro che si svolgeva intorno al tabacco e sono riuscite a darci informazioni e chiarimenti estremamente interessanti. Il tabacco ha rappresentato a lungo una grande risorsa per l’economia familiare di Nepi, un piccolo centro del Viterbese, e in modo particolare per le donne che in maniera quasi esclusiva erano impiegate in questa attività. Perché proprio le donne? Sicuramente perché erano più svelte ed abili nell’usare le mani che erano il mezzo del quale tutta la filiera produttiva si serviva per ottenere il tabacco, escludendo le piccole presse che erano utilizzate per confezionare le balle, racchiuse in sacchi di juta, che vista l’epoca di cui si sta parlano (1945-1960), potevano essere prodotte proprio dallo Jutificio Centurini di Terni (cosa di cui cercheremo informazioni nel corso della nostra ricerca). Il tabacco veniva coltivato nel territorio di Nepi, se ne curava ogni fase: dalla raccolta dei semi dopo la fioritura delle piante al loro impiego per la semina relativa al ciclo successivo, che inizialmente avveniva in semenzaio da cui nascevano delle piantine che erano poi trapiantate nel terreno in file parallele e ad una distanza di 25 cm. l’una dall’altra. Quando le piante raggiungevano un’altezza di circa 150 cm., allora iniziava la raccolta che avveniva staccando le foglie che per prime assumevano una colorazione gialla e cioè quelle più in basso (il primo giro di foglie) e man mano che le altre giungevano allo stesso stadio di maturazione si procedeva a raccoglierle tutte. Dopo la raccolta si passava alla fase della scelta fatta su base qualitativa (foglie con diverse caratteristiche che potevano essere impiegate in vari modi). Durante questo passaggio le donne erano distribuite in gruppi intorno a lunghi tavoli e dovevano raggruppare i vari tipi di tabacco in diversi mucchietti.

Fig. 27 I telarini con il tabacco messo ad essiccare e sullo sfondo un pagliaioFig. 27 I telarini con il tabacco messo ad essiccare e sullo sfondo un pagliaio

Fig. 27
I telarini con il tabacco messo ad essiccare e sullo sfondo un pagliaio

Il momento successivo era quello della realizzazione dei “telarini” dove venivano tesi dei fili di spago sui quali erano infilate, con un lungo ago piatto, le foglie del tabacco, una dietro l’altra, che posizionate su questa struttura erano lasciate ad essiccare di giorno all’esterno (se il tempo era buono) e di notte all’interno dello stabilimento perché la pioggia o l’umidità della notte potevano essere cause del formarsi della muffa che danneggiava irreparabilmente il prodotto. All’interno del tabacchificio erano comunque in funzione dei forni sistemati in alcune “celle” (piccole stanzette) che erano posizionate a lato di un grande corridoio dove venivano posti i telarini per lasciare essiccare le foglie al chiuso.

Fig. 28 Famiglia leccese trasferitasi a Nepi negli anni ’50 per la coltivazione del tabacco di tipo familiare. Tutta la famiglia partecipava al lavoro dei campi

Fig. 28
Famiglia leccese trasferitasi a Nepi negli anni ’50
per la coltivazione del tabacco di tipo familiare.
Tutta la famiglia partecipava al lavoro dei campi

Proprio a causa di un incendio, le donne intervistate ci hanno reso partecipi della paura che hanno avuto, quando, durante una normale giornata lavorativa prese fuoco l’intera struttura e una di esse che era presente riportò un trauma molto forte che le fu causa di problemi in seguito. A descrizione dell’evento successivamente una delle presenti, Maria, ha portato una poesia scritta da una sua compagna, che è presente in almeno due delle foto. La composizione in rima è riportata. Composizione in rima proprietà privata di Maria Ottaviani. Autrice della poesia una tabacchina oggi deceduta: Antonietta Mariani. Le donne con cui abbiamo parlato ci hanno inoltre fornito numerose informazioni riguardo alla situazione femminile in fabbrica. Alcune lavoranti del tabacco venivano scelte in base alla loro capacità, che non era soltanto quella di badanti delle 120 operaie. Si trattava sia di insegnare la lavorazione che di svolgere lavoro d’ufficio. L’orario di lavoro era abbastanza favorevole, se messo a confronto ad esempio, con quello delle Centurine di Terni, infatti era dalle 8 del mattino alle 16,30 del pomeriggio con una pausa pranzo adeguata. I locali erano spartani, e quando erano in funzione i forni le ragazze erano costrette a restare con la biancheria intima per il grande calore che si sviluppava. Per la paga ci hanno riferito che pur essendo modesta era regolare e che fin da allora potevano contare sull’appoggio dei sindacati per difendere almeno i diritti essenziali. Durante l’orario di lavoro le donne dovevano stare in silenzio, unica alternativa, che era loro concessa, era la recita del Rosario. Si è potuto constatare che c’era un forte ricambio in quanto spesso queste donne o entravano in maternità o, con il matrimonio, smettevano di lavorare e lasciavano il posto ad altre che subentravano, salvo poi chiedere di essere reinserite più tardi. Le Tabacchine di Nepi erano veramente molto belle e di ciò diamo conto attraverso le foto che seguono ed un filmato d’epoca ricordo di pellegrinaggi: • uno ad un santuario che sorge nelle vicinanze di Nepi (Castel Sant’Elia) in occasione del Primo maggio delle Tabacchine, • un altro in occasione dell’Anno Santo del 1950 e di alcune gite che le ragazze hanno fatto tutte insieme (il numero complessivo in servizio in quegli anni era intorno alle 250 unità).

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